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Moira / Mɔjra / Mɔɪ.rə

Testo di Marta Federici

Moira / Mɔjra / Mɔɪ.rə è il titolo del progetto di Caterina Silva, concepito per abitare lo spazio virtuale del MACTE Digital e incentrato sulla storia di una creatura enigmatica, che finisce inaspettatamente dentro il sito del museo provenendo da un’altra dimensione. Il nome scelto dall’artista per questo personaggio contiene una stratificazione di significati e riferimenti a contesti culturali variegati: dalle Moire della tradizione greca, le tre figlie della Notte che tessono il filo del fato degli esseri umani; alle mouras encantadas del folklore portoghese, le antiche costruttrici di Dolmen che si dice vivessero sotto un incantesimo imposto loro da padri o fratelli. Nella tradizione cristiana, il nome Moira non trova invece corrispondenza in nessuna delle sante ricordate nel calendario liturgico ed è identificato come nome adespota, ovvero, letteralmente, “senza padrone”. Queste suggestioni lontane sono state delicatamente reimpastate dall’artista sino a comporre un terreno fertile, dove poter piantare i semi di una narrazione inedita. Il racconto costruito da Silva ha il sapore di una mitologia contemporanea, che germoglia tra le maglie del web 2.0 e si colora delle sfumature di un’estetica da videogame.

Ampliando la ricerca dell’artista sulla relazione che intercorre tra potere e linguaggi codificati, Moira / Mɔjra / Mɔɪ.rə propone nello specifico un’indagine del linguaggio verbale, inteso come strumento tramite cui la realtà prende forma e come universo nel quale siamo immersi. I ragionamenti sviluppati nel progetto si muovono su due piani paralleli: sullo sfondo, si può cogliere un’allusione al processo di astrazione che investe globalmente il linguaggio nell’epoca del tardo capitalismo – il capitalismo tecnologico e finanziario, che produce e modifica incessantemente la realtà tramite stringhe alfanumeriche; in primo piano si colloca invece una più diretta analisi di alcuni meccanismi di funzionamento della lingua parlata dagli esseri umani. Prendendo come riferimento la propria lingua madre, l’italiano, Silva denuncia in particolare la dimensione linguistica come un campo non neutro, in cui viene costantemente riprodotto e alimentato uno schema di dominio dei soggetti parlanti sugli oggetti nominati. Le micro-dinamiche di potere segnalate dall’artista si configurano come conseguenza e al contempo origine di più ampi processi di prevaricazione che hanno luogo nella realtà sociale.

Dove si posiziona il confine tra soggetti e oggetti al di là del linguaggio verbale? Quando, in che modi e perché ci si riferisce a una persona come a un oggetto? Né completamente “cosa” né chiaramente “persona”, Moira incarna il rapporto mutevole tra questi due poli e cerca di scardinarlo, sconquassando con i propri gesti e vocaboli il dispositivo della significazione linguistica. Nel complesso, le vicende di questo personaggio possono essere lette come un lungo esercizio di decostruzione del soggetto (sia linguistico che fisico), ma anche come un inconsueto rituale trasformativo, che cerca di condurre gli spettatori verso territori sconosciuti, dove è ancora possibile tentare di restituire alla parola la capacità di descrivere e trasformare il mondo senza soggiogarlo. Come afferma l’artista, “lo spazio in cui questo potrà forse avvenire è un limbo, un punto di passaggio intermedio, dove si possono usare parole che non si conoscono per generare una lingua che non si intende imparare. Con cui dire cose misteriose e pericolosissime”.

Lo svolgimento del progetto si articola in quattro tappe consecutive e allineate alle fasi del calendario lunare.

La prima tappa si sbloccherà martedì 11 maggio 2021, in corrispondenza della luna nuova nel segno del Toro; dopo tre giorni, venerdì 14 maggio si aprirà la seconda tappa; mercoledì 19 Moira farà il suo ingresso nel sito del MACTE; il cammino si concluderà con la luna piena di mercoledì 26 maggio, giorno in cui verrà trasmessa live una performance corale che si configura come un saluto, una celebrazione e un rito di riconnessione alla realtà.
Da ogni tappa si potrà accedere alla successiva, navigando all’interno del sito del museo.
Al termine del progetto verrà reso disponibile un glossario che raccoglierà le parole di Moira e che sarà scaricabile in formato PDF dal portale del MACTE Digital.

Ideazione e realizzazione Caterina Silva
Curatela
Marta Federici
Animazione e modellazione 3D
Ruben Piergiovanni
Dimensione sonora
Andrea Koch
Voce Moira
Ornella Paglialonga
Performer
Caterina Silva, Giuseppe Vincent Giampino, Marta Montevecchi, Matteo Locci, Natalia Agati
Consulenza linguistica
Andrea Zaninello
Riprese video
Margherita Panizon
Prodotto dal
MACTE Museo di Arte Contemporanea di Termoli
Design
Sezione Grafica
Code
Dude

Storia di Moira

Moira aveva vissuto 126000 battiti di palpebra in un limbo. Era silenzioso e bianco ma non è certo se fosse asciutto o bagnato, né se l’azione che lei ripeteva fosse nuotare o galoppare. Era stato qualcuno o qualcosa che l’aveva portata in quel luogo, perché escludendo pochi giorni dell’anno Moira non era dotata di libero arbitrio. O meglio, credeva di non esserlo.

La dimensione da cui proveniva, che aveva attraversato e ormai abbandonato, non era la sua terra natale. Si sviluppava principalmente in verticale ed era composta da solidi a loro volta formati da lettere e parole. Nessuna traccia di latte né di pane sciapo all’orizzonte. Anche perché, a volte, era l’orizzonte stesso a mancare.

Dopo qualche migliaia di battiti di palpebra di permanenza, in mancanza d’altro, Moira aveva iniziato a staccare con gli artigli blocchi di lettere che sporgevano dalle grandi costruzioni solide e a mangiarle. A volte riusciva a mangiare una parola intera e allora sentiva delle forze misteriose spingerla verso est. Per capire dove dirigersi, Moira tracciava nell’aria con il proprio corpo la parola EST e si orientava nella direzione indicata dall’arto che sagomava l’ultimo pezzettino di lettera. A volte finiva la sequenza tracciando l’asticella verticale della T dall’alto verso il basso, e allora andava giù; altre volte tracciava per ultima la linea superiore orizzontale, da destra verso sinistra, e si muoveva di conseguenza. Altre volte ancora iniziava dal centro. Le direzioni da prendere erano infinite e tutte esatte, di questo ne era certa.

L’effetto che le dava mangiare le singole lettere, spesso già staccate dai solidi e in putrefazione, era diverso. A causa della loro natura più liquida, le singole lettere si aggregavano nello stomaco in gruppi di due o tre, si muovevano insieme e facevano rifluire verso l’esofago le parole ingerite in precedenza. In quei casi Moira aveva la sensazione di aver fatto un errore, come se l’associazione di vocaboli compiuti e lettere sfuse creasse nell’intestino una reazione chimica nefasta. Sia l’odore prodotto dalla fermentazione delle parole che il ronzio generato dal loro attrito la trasportavano in una dimensione fisica e psichica altra. Ogni volta che il processo digestivo si era concluso, Moira sapeva di trovarsi in un punto differente dello spazio, nonostante il paesaggio circostante fosse rimasto pressoché invariato.

In un momento non definito del percorso Moira aveva scoperto un meccanismo che le consentiva di accorciare i tempi di andatura: le bastava sostituire gli oggetti-parole che vedeva più piccoli con quelli che vedeva più grandi. Il procedimento era scomodo ma piuttosto vantaggioso, perché le permetteva di coprire in minor tempo un tragitto imprecisato, e Moira era abituata a spostare grandi masse senza sforzo, dato che in una vita precedente era stata una costruttrice di Dolmen.

Dopo circa 2520 battiti ridotti con questo procedimento a 300 Moira aveva intravisto alla base di una delle grandi costruzioni solide una superficie di tipo diverso, incastonata tra le parole nostro, fare clic su, remov, garantito, visita, basenumb14, dollaro, prezzo, volontà, la maggior parte, suppliche. Era una superficie piana dello spessore di 1 bulbo, divisa in quattro porzioni comunicanti tra loro, ognuna delle quali circoscritta da una cornice semovibile. Dalla porzione in basso a sinistra proveniva un vento caldo; dalla porzione in alto a destra una sequenza di suoni regolari, bassi, secchi e potenti; nelle altre due porzioni si potevano vedere ristagnare delle masse di acqua e di vuoto. Immediatamente attratta dall’acqua e forse anche assetata, Moira si era infilata nella porzione in alto a sinistra senza porsi il problema dello spazio, dando per scontato di poter entrare in contatto con quella materia così diversa da ciò a cui era stata abituata negli ultimi 126000 battiti di palpebra. Moira ignorava la parola passaggio ed era certa di non averla mangiata, ma non sapendo fare altro che proseguire e non avendo incontrato alcuno ostacolo, non si era interessata delle conseguenze. Forse aveva preso una decisione o forse la decisione aveva preso lei.