Le latte litografate
Le « latte » sono fogli stesi su cui lo zincografo ha stampato quelle che, sulla scatola finita, saranno le etichette: tonno, lucido da scarpe, paté… Qualche anno più tardi Andy Warhol dipingerà le sue scatole di Campbell Soup eternandole come i capolavori vascolari della classicità contemporanea. Carmi scopre le latte non quando le vede finite, nelle vetrine dei negozi, ma quando le incontra abbandonate nel magazzino dello stampatore, e di preferenza fissa la sua attenzione su quelle mal riuscite, dove sono state passate due o tre mani di stampa, o dove la stampa ha sbavato. Questo chiarisce che l’attenzione di Carmi per il paesaggio industriale non è di tipo « pop ». Non è l’oggetto in quanto oggetto commerciale che lo appassiona o lo preoccupa: per cui non penserebbe mai a riprodurre un sandwich o un paio di pantaloni stazzonati, né ad afflosciare macchine da scrivere.
L’oggetto industriale, per attirarlo, deve avere dei ritmi geometrici evidenti: tali che, anche svuotando l’oggetto del suo significato originario (che di solito è un significato intenzionale, una ingiunzione, un avviso, un appello), rimanga una forma ritmata, evidente, percepibile, memorizzabile, disponibile per altri significati. In più, oltre ai ritmi geometrici, appassionano Carmi le sfide percettive, verso cui in questo periodo si sta orientando sempre di più: forme ambigue, geometrie dagli esiti multipli, confusione di carte tra figura e fondo, sovrapposizioni di retini. Ecco quello che gli propongono le latte litografate.
Come si vedrà egli le accetta come objet trouvé o le lavora, stabilendo una sorta di progressione di questo genere, logica se non cronologica:
a) latte integrali, riuscite, estraniate solo dalla moltiplicazione a cui sono sottoposte, che fornisce loro una sorta di presenza ossessiva, capace di andare al di là di quel che parevano dire (persino se avvertono « pericolo di morte »);
b) latte trovate, in cui la manipolazione è effetto casuale di un incidente o di un atto d’imperizia dello stampatore; di solito sono « prove », gettate per le stesse ragioni per cui Carmi le raccoglie, a causa della ambiguità d’immagine che nasce dalle sovrapposizioni;
c) latte lavorate dal pittore, con l’introduzione di oggetti geometrici, iterazioni ritmiche; gli oggetti non servono a snaturare le latte, bensì a ridondare il ritmo che esse già suggerivano;
d) latte che danno origine a collage e a composizione originale; in quanto il collage è di elementi metallici, ricorda certi aspetti delle sculture in ferro; in quanto entrano in gioco elementi segnaletici a colori, si apre qui una stagione che rimanda in parte ai cartelli antinfortunistici, ma che annuncia (vista retrospettivamente) l’epoca dei « fumetti » e di Stripsody. In tal modo l’esperienza, originariamente geometrico-percettiva, delle latte ha compiuto la sua funzione, ha immesso in un’altra fetta di paesaggio, si è consumata per lasciare riemergere segnali evidenti, lettere alfabetiche, nuovi accenni di contenuti.
Umberto Eco Eugenio Carmi una pittura di paesaggio? Milano: Prearo Editore, 1973.
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