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Itinerario 109 1960
acrilico e filo su tela
90 × 130 cm

Dichiarazione di poetica di Achille Pace 1960

Il filo, oltre che essere realtà oggettiva è anche carico di significati simbolici.

Esso indica: discorso logico, misura, precarietà, equilibrio, costruzione, rapporto, relazione, comunicazione, vita e morte. Può esprimere il piano, il concavo, il convesso, la lentezza, la tensione, lo spazio. Può essere razionale o irrazionale, movimento statico o dinamico, crescita, fine. Il filo segue, momento per momento, la nostra esistenza e ne testimonia, con il suo itinerario, i pericoli, la gracilità, il rigore, la forza, il pensiero in tutte le sue manifestazioni. Essendo il filo un oggetto, è dunque fuori di noi, ma ha anche in noi, nel nostro inconscio, profonde radici che ci fanno essere, in definitiva, quello che siamo.

Non possiamo negare di vivere oggi un momento storico particolarmente precario.

La pace, la libertà, la nostra stessa esistenza sono precarie; ancor più precario si prospetta il futuro. Prenderne coscienza non significa adattarvisi, bensì trovare la forza per libere scelte, necessarie per opporci ai pericoli che ci minacciano.

Ho scelto il filo come elemento significante del mio lavoro verso la fine del 1959. Era il tempo dell’Informale. Il mio interesse era allora di uscir fuori dal suo irrazionale groviglio. Il filo se ne staccava dapprima lentamente, poi sempre con maggiore decisione. Esso si disponeva e scioglieva dal gesto oggettivo e alienato dell’Informale. Come materia, il mio filo mantiene lo stesso stato di caduta, di vaga esistenza e indeterminatezza dell’Informale, ma allo stesso tempo aspira ad una esistenza più conscia, meno alienata, più logica e costruttiva: naturalmente nei limiti di una realtà ancora non trasformata e piena di contraddizioni, di lacerazioni e di mistificazioni. Il filo è anche carico di futuro che l’uomo cosciente oggi cerca di preparare. Il mio filo è uno degli approcci a questo futuro possibile, perché tiene conto della realtà di questo momento storico, caratterizzato dalle condizioni del lavoro in generale e di quello delle masse in particolare. L’individuo, prendendo coscienza delle ragioni delle proprie scelte e del proprio lavoro si inserisce nei processi della cultura come processo del lavoro e diviene, nel contempo, creatore di nuova cultura. L’arte quando è tale può dare un valido contributo con l’indicazione di metodi operativi e di scelte morali.

Achille Pace nasce a Termoli il 1 giugno 1923. Nel 1935 si trasferisce a Roma dove entra in contatto con i maestri della Scuola Romana. Nel 1955 parte per un lungo soggiorno in Svizzera durante il quale ha modo di approfondire la lezione di Paul Klee e degli Espressionisti tedeschi.

Rientrato a Roma alla fine degli anni ‘50 intraprende il suo percorso d’artista, prima nell’arte Informale, poi staccandosene e adottando la poetica del filo: “I sinuosi ma esatti percorsi del filo nei campi opachi e deserti del quadri di Pace tessono lo spazio sul rapporto da uno a infinito[1]” scrive il critico d’arte Giulio Carlo Argan.

Dagli anni ’60 Pace avverte l’esigenza di depurare il proprio linguaggio da ogni contenuto emozionale o rappresentativo. Le sue superfici sono prevalentemente bianche o di un grigio tendente al nero, la tela viene tinta prima di essere fissata al telaio. I fili assumono profili serpentiformi, intrecci, avvolgimenti, in seguito l’artista aggiunge frammenti di tela grezza dal cui ordito si liberano i fili, mettendo allo scoperto l’operazione di sottrazione della materia, oltre la quale c’è il vuoto. Come scrive L. Strozzieri: “la sua tecnica usa il punto, la linea, il geroglifico, la macchia, lo scarabocchio, l’intreccio, con questi mezzi redige itinerari poetici, un ‘diario dell’anima’”[2]

Negli anni ‘60 all’individualismo dell’artista, si propone il lavoro di gruppo come dimensione di nucleo sociale e come possibilità di riscontro e verifica della ricerca artistica. Gli artisti Nicola Carrino, Gastone Biggi, Nato Frascà, Achille Pace, Pasquale Santoro, Giuseppe Uncini, costituiscono nel 1962 a Roma il Gruppo Uno, il critico Giulio Carlo Argan aveva caldeggiato l’idea a seguito di un incontro con alcuni di essi proprio a Termoli in occasione del Premio Termoli del 1962.

Il gruppo si differenziava dai gruppi operanti al Nord Italia che si ponevano al termine di un procedimento industriale applicabile all’arte ma anche dai pittori della Scuola Romana, legata ad influssi statunitensi. La ricerca pittorica degli esponenti del Gruppo Uno offre una nuova grammatica del vedere formale e cromatico. Secondo i critici Luciano Caramel e Patrizia Ferri[3], che curano una mostra del gruppo a Termoli nel 1998:

[Il]“Gruppo Uno indaga sul rapporto artista-società e propone l’analisi dei processi del fare e del vedere in una sua particolare area, differenziata sia da Gestalt e Op Art, che dalla Pop Art, attraverso l’uso della forma geometrica primaria e dei materiali tradizionali e contemporanei”.

Achille Pace, a partire dalla quinta edizione del Premio 'Castello Svevo' Termoli nel 1960, diventa figura di riferimento dello svolgersi del Premio Termoli e delle mostre che si susseguono nella Galleria Civica d'Arte Contemporanea, istituita dal 1978 nella ex Chiesa di Sant’Antonio, nella piazzetta omonima di fronte al mare nel centro di Termoli.

Achille Pace muore a Roma il 28 settembre 2021 a 98 anni.

[1] A. Pace, Itinerari, Il quadrato n° 41, Edigrafica Aldina s.p.a, Roma, 1977, p. 29.

[2] L. Strozzieri, Quattordici Artisti, Umbria editrice, 1982, p. 6

[3] L. Caramel, P. Ferri, Gruppo Uno 1962/1967. Gli anni ‘60 a Roma, Edizioni Joyce & co. Roma, 1998, p. 74.