Dopo essersi dedicato a sculture in cemento, verso il 1966 Giovanni Cannata inizia a utilizzare l’acciaio inox. Questo fa pensare a un salto dalla manualità tradizionale, sicuramente consona alle origini siciliane dello scultore, alla produzione tecnologica. Con la scultura in fogli di acciaio inox, l’artista conquista l’ottica geometrica sfruttando una specularità che spezza la consistenza oggettuale delle opere, in virtù di riassorbire lo spazio esterno e le immagini circostanti sulle loro superfici. Il critico d’arte Giorgio Di Genova scrisse:
“Tutta l’impalcatura del discorso di Cannata, appunto prevalentemente geometrica, si apre a nuovi esiti e a una dialettica di esiti di tensioni e intenzioni di dinamismo formale, con una leggerezza che spesso sorprende per l’abilità e capacità di sfruttare il semplice nell’ambito dei rapporti dialettici formali. Nell’attuale fare di Cannata tutto è concentrato in un’esasperata attenzione alle forme e alle varie possibilità del loro atteggiarsi nello spazio. Per assonanze e dissonanze i fogli di inox si uniscono o contrappongono, si mimano o divergono, si inseguono o si sfuggono in un continuo altalenare di andamenti curvi, piani, angolari, concavi e convessi in una sorta di instabilità sintattica che viene aumentata dall’ambiguità ottica generata dalla lucentezza specchiante del materiale. Sembra, a prima vista, un mero giuoco morfologico, semplice ed estremamente facile, se ci si dimentica che è in un materiale così difficile da controllare e da piegare alle proprie intenzioni come l’acciaio inox. Ed è appunto per tale motivo che le raggiunte pulizie e leggerezza formali sono un risultato espressivo di non poco conto, anche se in qualche modo condizionante, come penso ancora sia sul piano semantico, proprio perché mi sembra che in una ricerca del genere urga un quid della vis primigenia che nel passato Cannata esprimeva nei cementi.”
Secondo Di Genova, con gli acciai Cannata ha conquistato un’impensata leggerezza d’espressione e una maggiore libertà di articolazione delle forme, impossibile da sperare di fronte ai suoi cementi inerti e costretti a una sorta di elementarità arcaica. Tuttavia, questa trasformazione da scultore di cemento a raffinato costruttore di oggetti in metallo stupisce non poco e fa pensare che la sua ricerca sia in costante divenire, nonostante le aperture che prospetta. Essere riuscito a fare incontrare questi due “mondi opposti” è proprio una delle caratteristiche più significative di Cannata, secondo il critico d’arte Vinicio Saviantoni.
Giovanni Cannata nasce a Comiso (Ragusa) nel 1937. Dopo essersi diplomato presso l’Istituto d’Arte di Venezia, frequenta per due anni l’Accademia di Belle Arti di Roma. Nel 1970 insegna presso l’Istituto d’Arte di Marino (RM).
Cannata ha esposto le sue opere presso la Quadriennale di Roma nel 1965; mentre tra le mostre personali vanno citate quella presso la Galleria Il Fondaco di Messina nel 1960 e nel 1970; allo Studio AL2 di Roma nel 1969 e alla Galleria Il Brandale di Savona nel 1970.
L’artista era amico di Mirella Bentivoglio, protagonista della ricerca verbovisuale italiana e internazionale, che curò assieme a Vinicio Saviantoni il catalogo Giovanni Cannata, Galleria AL2, Roma, 1969-70 (mostra in due tornate: “cementi inediti 1963-64, strutture in acciaio dal 1966 ad oggi”).